Spesso la psicoterapia è un esercizio verboso. Domande, risposte, chiarimenti, verbalizzazioni. Come esprimere quello che non si riesce a dire? Come esplicitarlo a noi stessi ed alla persona che abbiamo davanti?

Ballerini, pittori, musicisti e tutti gli artisti in genere hanno trovato strade diverse per rispondere a questi interrogativi. Ma la psicologia? La scienza dell’uomo per eccellenza, che posto occupa tra le discipline che si interrogano su come indagare i significati più profondi dell’essere umano?

Immagini, movimenti, suoni ed odori di frequente sono stati estromessi dalla stanza della psicoterapia non solo perché considerati bias, ma soprattutto perché non si sa come maneggiarli. Tutto quello per cui non abbiamo delle teorie, non esiste. Se non possediamo un corpus teoretico ampio ed allo stesso tempo raffinato, il rischio è di trovarsi di fronte ad un uomo parziale, monco, che possiamo conoscere solo attraverso canali logori per l’eccessivo utilizzo.

La psicologia dei costrutti personali offre l’opportunità di guardare all’umano attraverso occhi diversi. Pone le basi per costruire una scienza dell’uomo al quale ci possiamo avvicinare da strade differenti. Quel che è necessario per farlo è il rispetto per il modo personale di costruire i propri significati ed un rigore metodologico che tuteli la relazione, che sia aperto all’invalidazione ed alla creatività.

Heather Foster propone uno di questi percorsi per relazionarsi all’altro attraverso l’utilizzo di immagini. Il presupposto da cui parte la ricercatrice australiana è che per far emergere costrutti nucleari e pre-verbali sia necessario uno strumento che prescinda dall’utilizzo del linguaggio verbale. Uno strumento che abbia un grande impatto emotivo e che “dia voce” ai significati più profondi attraverso canali comunicativi diversi. Il linguaggio fotografico e rappresentativo offrono questa opportunità poiché viaggiano naturalmente su di un piano metaforico. La grandezza di un oggetto, il colore utilizzato, le relazioni tra gli elementi presenti nella foto o nel disegno, il soggetto ripreso diventano assieme dense argomentazioni di ciò che si vuole significare. Importanti costrutti condensati in pochi elementi. Speranze, sensazioni, desideri, progetti prendono forma nell’immagine e rispecchiano noi stessi. Una sorta di alter-ego che parla a noi di noi. Questo dialogo intra (o inter?) psichico assume una valenza ancor più importante quando all’immagine fotografica si sostituisce un disegno fatto dal soggetto stesso. Qui, per comprendere come la persona vive e traduce la propria esperienza del disegnare, i canoni estetici lasciano lo spazio ad altri indicatori. La line tracciata è spessa o sottile? Il disegno è realista o simbolico? La persona c’è o non c’è nel disegno? Che cosa voleva rappresentare?

Come fare per rispondere a queste domande?

Altri approcci nei decenni passati hanno tentato di standardizzare l’interpretazione. Un’interpretazione che era ad uso esclusivo dell’esperto della psiche. Se il soggetto sta a sinistra del foglio indica un atteggiamento rivolto al passato; soggetto a destra, un atteggiamento verso il futuro. E così via, nella speranza di trovare un’ermeneutica universale pronta per l’uso. Dimenticando che qui l’esperto della psiche, almeno la propria, è la persona che disegna, dipinge o fotografa. Heather Foster mette in guardia da queste facili semplificazioni (da qui il suo rigore metodologico) rigettando un’esegesi centrata sullo psicoterapeuta, a favore di una centrata sulla relazione. Chiediamo alla persona che abbiamo di fronte quello che non riusciamo a comprendere ed anche quello che pensiamo di capire. Il suo è un mondo complesso ed allo stesso tempo ricco. Ridiamo dignità all’esperienza giocata nella relazione. Qui non ci sono distorsioni, non esistono errori da controllare perché non c’è nulla di oggettivo.

La persona che abbiamo di fronte non può essere nient’altro che se stessa e tutto quello che fa parla di lei.

Carlo Guerra

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